Fino al 20 marzo una mostra traccia un parallelo tra due città simbolo dell’architettura militare. Anche grazie alle opere di Georgia Damopoulou e Paris Petridis
di Peppe Aquaro
Mura contro mura. Senza distruggersi o farsi del male. Semplicemente un confronto. Per «conoscersi meglio». Da una parte, le mura di Cittadella, e dall’altra, quelle di Salonicco. Dal Veneto alla Grecia. Con un collegamento ideale in occasione della mostra, «Mura che uniscono Salonicco a Cittadella», in programma al Palazzo Pretorio di Cittadella, fino al prossimo 20 marzo. Perché questa mostra e come mai Cittadella «dialoga» con Salonicco, la seconda città più estesa della Grecia? Prima di tutto, per un desiderio, da parte dei patavini, di andare oltre i recenti festeggiamenti (nel 2020) dei primi ottocento anni delle loro mura, tra i più importanti esempi di architettura medievale e militare d’Europa (per la cronaca: la circonferenza iniziale ed attuale delle mura è di 1.460 metri, intramezzata da 4 torrioni, 12 torri quadrangolari e 16 torresini); e poi perché, guardando dall’alto dei torrioni e delle torri, o lungo i camminamenti di ronda medievale che racchiudono il borgo padovano, lo sguardo può spaziare all’infinito. Magari fino a Salonicco.
Vecchio e nuovo si rincorrono
Tutto questo nel nome del passato. E per la serie, quelli che solo l’arte può fare miracoli di contemporaneità? Subito accontentati. «Mura che uniscono Salonicco a Cittadella» non è soltanto, infatti, una esposizione col torcicollo. Tutt’altro. Il dialogo tra Cittadella e Salonicco (che vanta probabilmente le mura e fortificazioni più antiche in Europa, dichiarate Patrimonio mondiale Unesco nel 1988) continua anche grazie ai linguaggi contemporanei dell’arte e della fotografia selezionati dal MOMus-Organizzazione Metropolitana dei Musei d’Arti Visive di Salonicco, ma soprattutto con le opere site specific di Georgia Damopoulou e gli inediti scatti realizzati da Paris Petridis, lavori che resteranno per sempre a Cittadella.
Monete, icone e mosaici
Ma prima di parlare dell’oggi, è utile ricordare quanto questa mostra sia anche una esposizione documentaria. A partire dai 1700 anni delle mura di Salonicco, descritte epoca dopo epoca grazie alle testimonianze archeologiche e d’arte antica prestate, in maniera del tutto eccezionale, dall’Eforato alle Antichità della città e dal Monastero di Vlatadon. Cosa possiamo vedere? Da un pavimento a mosaico bizantino a un piatto in ceramica dipinto a sgraffito, dal ciondolo reliquiario con perle infilate in un filo d’oro alle icone dei santi Giorgio e Demetrio, fino a un tesoretto di monete di rame del 1200. E tanto altro ancora. Del resto, la storia di Salonicco è singolare: bizantina, ottomana e infine greca, ma con una parentesi veneziana, sotto la Serenissima, di pochissimi anni (dal 1423 al 1430). Gli stessi anni in cui anche Cittadella passa sotto la dominazione veneziana. Ecco, quindi, come tutto torna in questo gioco di “mura contro mura”. E tutto torna anche nel modo in cui la mostra si sofferma su una sezione fondamentale delle mura di Salonicco, quella dall’Acropoli, detta Cittadella, appunto.
Sculture che piangono
Filo di rame, capelli artificiali e tessuto. Sono i ferri del mestiere di Georgia Damopoulou, l’artista atenese prestatasi ad una interpretazione contemporanea di Salonicco e di Cittadella. Sono quattro le sue opere esposte a Palazzo Pretorio ed è impossibile non notarle tra la decorazione a finta tappezzeria con bande verticali, fregi policromi, tondi e medaglioni del palazzo per lunghi anni sede del Podestà della Serenissima. In «Haemolacria I», uno sversamento di dieci lacrime di colore rosso scendono dalle finestre dell’ultimo piano del palazzo che ospita la mostra. Sono rosse come il colore della storia più combattuta e, allo stesso tempo, «rappresentano paura, violenza, reclusione e alienazione», ricorda Eirini Papakonstantinou, storico dell’arte e curatore di MOMus. Con «Haemolacria II», da due occhi grandi, affacciati sul senso della storia, fuoriescono due enormi drappi, sempre rossi, in tessuto e acciaio. Infine, Georgia Damopoulou ha riprodotto Cittadella e Salonicco con resina, filo e tubo di rame, intrecciate su una rete metallica.
Quando le mura si mettono in posa
Un confronto senza mediazioni tra Cittadella e Salonicco, e come solo la fotografia sa offrire, è quello di Paris Petridis, di casa proprio a Salonicco. Il suo è un vero e proprio reportage dell’esistente, ma che rinvia al fascino di una lunga storia. Mettendo sul piatto due esempi di mura medievali: di Cittadella, sopravvissuta per secoli quasi intatta, e le mura di Salonicco, vaste parti delle quali sono andate distrutte. «Le fotografie di Paris Petridis sono risonanze visive e concettuali di come un muro risiede dentro un altro», racconta Hercules Papaioannou, curatore, per MOMus, del Museo della fotografia di Salonicco. Inoltre, Petridis fotografa le mura come costruzioni storiche ormai integrate nella vita quotidiana delle due città: «Monumenti gloriosi ma anche semplici sostegni per umili abitazioni, creando così una nuova fruibilità che si intreccia con la non fruibilità del monumento».
Dante, Federico II e scusate se è poco
A proposito di fruibilità dell’oggi e ricorrenze storiche. In tutto questo racconto, mancava solo lui, il Sommo poeta, Dante, ancora «fresco di festeggiamenti» per i settecento anni dalla sua morte. Bene, Dante parla anche delle mura di Cittadella nella sua Commedia: «Piangerà Feltro ancora la disfatta dell’empio suo pastor, che sarà sconcia sì, che per simil non s’entrò in Malta». Sono i versetti 52-54 del IX Canto del Paradiso, incisi sulla lapide della Torre di Malta. È vero, non era un bel posto la torre costruita nel 1251 dal feroce signorotto locale, Ezzelino III da Romano. A Torre Malta venivano, infatti, lasciati morire i nemici, di inedia. Ma ci piace ricordare che cosa ha significato la cinta muraria di Cittadella per altri veri grandi personaggi della storia. Vedi Federico II, per esempio, il quale era talmente incuriosito dalle notizie delle mura cittadellesi, da decidere di andare a vederle e di soggiornarvi con il suo esercito. Correva l’anno 1239: intorno al futuro Castel del Monte, il capriccio architettonico dell’imperatore di Svevia, non era ancora stata posta neppure una pietra.